Il Parco Nazionale del Pollino si estende lungo la dorsale appenninica che unisce due regioni del Sud dell’Italia, la Basilicata e la Calabria, e interessa tre Province, quelle di Potenza, Matera e Cosenza.
È la riserva più grande d’Italia con un'estensione di 193.000 ettari, per un totale di 56 paesi e prende il suo nome dal Massiccio del Pollino, che custodisce la testimonianza dell’ultima glaciazione, il Pino Loricato (Pinus leucodermis antoine), divenuto il simbolo del parco oltre a paesaggi incontaminati, unici ed incredibilmente affascinanti. Il paesaggio è complesso e si presenta con una rara varietà di ambienti: rocce dolomitiche, bastioni calcarei, pareti di faglia di origine tettonica, depositi morenici, massi erratici (traccia delle ultime glaciazioni). Sono inoltre presenti numerose sorgenti naturali, piccole cascate e fiumi sotterranei, oltre ad alcuni torrenti, tra i quali il Grido, il Peschiera, il Sarmento e il Raganello. Estremamente suggestive le gole del Raganello, profondo canyon dalle pareti molto ripide formatosi dall'azione combinata dell'erosione fluviale e dei movimenti tettonici. Sul territorio del parco è possibile praticare diversi sport, in particolare l'escursionismo, il trekking e mountain bike. Molto praticati sono anche il rafting e lo sci di fondo nel periodo invernale.Il Pollino è la terra del pino loricato, dell'associazione abete-faggio, del lupo, del capriolo, dell'aquila reale, della lontra, delle rocce dolomitiche, della Serra Dolcedorme, delle gole, delle grotte, del bos primigenius e dell'elephas antiquus, delle civiltà lucana, magno-greca, bizantina, longobarda, normanna, delle minoranze arbereshe.
Il Pollino è 192 mila, e oltre, ettari di area protetta, è il Parco Nazionale più grande d'Italia, è il Parco dell'Appennino calabro-lucano, con la sua Serra Dolcedorme, la vetta alta 2267 metri, innevata per molti mesi dell'anno. Ha una natura da vivere, oltre che visitare, dove giova abitare per una ricarica di energia e di salute. La catena dei suoi monti, le cui propaggini vanno, ad est, verso il mar Jonio e, ad ovest, verso il Tirreno, racchiude, con le forme, le dimensioni e i ritmi di vita, uno spazio e un tempo infiniti. Dalla Madonna del Pollino e dalla Serra di Crispo ai Monti di Orsomarso fino alla Valle dei cedri, gli antichi sentieri portano in un mondo di valori naturali e culturali, che appagano di benessere i desideri e lo spirito dell'uomo e lo fanno star meglio. Si cammina all'ombra delle faggete del Bosco Magnano, si sale verso la timpa di San Lorenzo, verso il cozzo del Pellegrino, la serra delle Ciavole e la Montea; si scivola sull'acqua del torrente Peschiera, delle gole del Raganello e del Lao e del fiume Abatemarco; si trova riparo nella valle dell'Argentino.Sui piani del Pollino e di Novacco, tra i prati di alta quota, il corpo riprende fiato, si libera degli affanni, guarda gli orizzonti e ritempra lo spirito. L'infinito, il silenzio, i colori, i cieli limpidi, il brillare nitido delle stelle, nella notte, nel buio, senza altre luci, tutto avvolge e dà piacere. Il grande Parco è magia attraverso le rocce dolomitiche, i basalti, gli strapiombi, le grotte, i circhi glaciali, gli accumuli morenici, il pino loricato, simbolo del Parco, l'associazione abete-faggio, l'aquila reale, il lupo, il capriolo e la lontra. La vastità dell'area dà mille sorprese, mille diverse immagini e vedute scorrono nell'animo stupito, cadenzate dai suoni e dai ritmi degli ambienti naturali.
È un incontro mirabile tra la natura e l'uomo, un ripetersi di colture dopo colture, di culture dopo culture, un susseguirsi di stagioni e di innesti, di emigrazioni e ritorni, di ibridazioni e di contaminazioni per accrescere ed arricchire le biodiversità, che hanno reso le terre, i luoghi, i frutti, i semi, i grani, gli insediamenti aperti e in divenire, vari, ma tutti ancorati alla naturalità e alle identità e alle radici del Parco. È la storia con i ritrovamenti paleontologici, i graffiti, le vestigia del passato, con i resti della cultura materiale, delle etnie, delle isole linguistiche appartenenti alle minoranze di origine italo-albanese, con i fumi dei camini delle vecchie case di campagna e dei piccoli paesi, con le piante, le orchidee e le peonie selvatiche e i fiori di campo; con i luoghi vissuti dall'uomo, con le greggi al pascolo e la vita agreste, altrove sempre più oppressa e quasi scomparsa, messa da parte dalla modernità. Aria, acqua, terra, luce, odori, sapori, suoni formano una natura libera e pura, dove l'ansia si spegne. Il paesaggio quasi non è cambiato da secoli; i campi coltivati misurano ancora la fatica dei suoi abitanti, dei contadini, dei pastori e degli artigiani, gli spazi della vita quotidiana sono ancora disegnati dalle vecchie consuetudini. La campagna si veste a nuovo dei colori delle diverse stagioni, fa riposare dai frastuoni, da ristoro al fresco di aliti di vento che avvolgono monti e valli, disseta a sorgenti di acque limpide con il sapore delle rocce, da dove sgorgano, e della natura, che le ha generate. Il paesaggio agrario si connota dell'architettura spontanea delle vecchie dimore contadine fatte per ripararsi dai gelidi inverni e dalle torridi estati, per accogliere i figli e i figli dei loro figli in un paziente succedersi di generazioni che attendono con trepidazione ogni stagione per godere dei suoi frutti e delle suggestioni dei singoli climi. Emerge con le sculture naturali di alberi di quercia che sfidano il cielo, con il pero, il mandorlo, l'ulivo e, ormai, i molti rovi, le siepi, le tantissime ginestre. Si distingue nel segno della pietra: la pietra delle case, dei muretti a secco dei viottoli di campagna, dei limiti degli appezzamenti di terra. Dentro questo mondo si vive dei ricordi delle famiglie con le loro foto di gruppo, in bianco e nero, con le cerimonie dei loro matrimoni, con i luoghi ritrovati dell'infanzia, con i momenti solenni delle processioni, con i balli popolari e i ritmi delle zampogne, con i costumi di un tempo; con le notti insonni al bivacco in attesa dei riti religiosi del giorno dopo sul sagrato delle chiesette in montagna o tra i boschi per gli annuali festeggiamenti dei culti arborei. Qui tutti possono sentirsi un po' figli di questa natura, protetti dal suo vastissimo e preziosissimo campionario di endemismi e di biodiversità, tra naturalità, ruralità e tipicità, tra originalità e genuinità. Qui il Parco Nazionale del Pollino custodisce la natura e l'uomo, ecologie e culture locali tradizionali. Qui il legame tra terra ed attività umane rimane profondo e indissolubile e il Parco lo conserva e lo tutela.Il Pino loricato (Pinus leucodermis Ant.), elemento caratteristico nell'ambito degli habitat forestali di interesse Comunitario rientranti nella Rete Ecologica Europea Natura 2000, vive in Europa nella penisola Balcanica e in Italia in maniera naturale esclusivamente in quella parte dell'Appennino Calabro-Lucano rientrante nel perimetro del Parco Nazionale del Pollino.
In questa area è presente con popolamenti abbastanza localizzati sui gruppi montuosi Zaccana-La Spina, Pollino, Palanuda - Cozzo del Pellegrino Montea e Monte Alpi, ed è per questa unicità, oltre che per la sua bellezza, che è stato scelto quale emblema del Parco Nazionale del Pollino.
Lo possiamo ammirare abbarbicato sulle vette delle montagne nelle bellissime pietraie calcaree, di solito ad altitudini superiori ai 1000 m s.l.m., oltre i limiti del faggio (Fagus sylvatica), che ad altitudini inferiori diventa dominante. Eccezione segnalata a questa distribuzione altitudinale è il caso della stazione di Canale Cavaiu (Orsomarso) posta a 530 m s.l.m. La storia della identificazione di questa specie è stata lunga, complessa e affascinante come il Pino Loricato stesso. Le prime notizie risalgono al 1826 quando il botanico partenopeo Michele Tenore raccolse per la prima volta dei rametti di questo pino ai Piani di Pollino a circa 1850 metri di quota, ma il materiale venne confuso con altre specie affini. Solo nel 1863 il tedesco Theodor von Heldreich ritrovò sul Monte Olimpo un pino che ricordava quello del Pollino e che poi Herman Christ avrebbe a lui dedicato (Pinus heldreichii). Successivamente nel 1864 F. Antoine trovò nei territori dell'ex Jugoslavia dei pini simili a quelli trovati sul Pollino e per essi coniò il nome di Pinus leucodermis. Arriviamo quindi agli inizi del 1900 e sull'identificazione del pino del Pollino risultava esserci ancora poca chiarezza, quando nel 1905 Biagio Longo, studioso originario di Laino Borgo piccolo centro del Parco, riferisce i suoi ritrovamenti sul Pollino e sui Monti della dorsale del Pellegrino al Pinus leucodermis Antoine (1864) [o Pinus heldreichii Christ (1863)]. Per la prima volta egli conia il nome Pino loricato per la peculiarità della corteccia. Infine alla fine del XX secolo (1996) il dr. Silvano Avolio dell'Istituto Sperimentale per la Selvicoltura di Cosenza giunse alla conclusione che bisognava distinguere due forme di Pino loricato: nell'Italia meridionale, nell'ex Jugoslavia, in Albania, in Grecia e in Bulgaria si incontra il Pinus leucodermis, il Pino loricato vero e proprio, mentre in Albania, in poche zone dell'ex Jugoslavia e sul Monte Olimpo troviamo il Pinus heldreichii, o Pino di Bosnia, differente dal loricato solo per caratteristiche abbastanza sottili, difficili da cogliere da parte del comune osservatore.
Nel Parco Nazionale del Pollino, il Pino loricato si presenta come un albero dall'aspetto robusto e gli esemplari esposti ai venti sviluppano rami con portamento a "bandiera" in modo da offrire minor resistenza ai venti dominanti. È una specie molto frugale adattatasi agli ambienti aridi e freddi delle alte vette. La corteccia negli esemplari giovani è liscia mentre in quelli adulti risulta fessurata in grandi placche di colore grigio cenere con squame trapezoidali ricoperte da piccole squame lucenti, dandole l'aspetto di una corazza, ovverosia la "lorica" delle armature dei legionari romani, da qui l'origine del nome. I rami sono caratterizzati dalle cicatrici degli aghi caduti che, per la loro forma romboidale e in rilievo, forniscono al ramo stesso un aspetto "marmorizzato" a mo' di pelle di serpente. Quello che rende unico il Pino loricato del Pollino è proprio il suo adattamento agli ambienti di alta quota dove si è rifugiato per non soccombere al faggio, ciò ha donato a questi esemplari un portamento tormentato, affascinante, spesso scultoreo e monumentale che si differenzia da quello posseduto in ambienti meno estremi del resto del suo areale, dove forma vere foreste.
Proprio per queste caratteristiche, che lo distinguono nettamente dal faggio, e per la presenza esclusiva sulle parti sommitali e maggiormente impervie dei rilievi, non è difficile distinguerlo e osservarlo ad esempio dai Piani di Pollino o da Colle Gaudolino o ancora più semplicemente affacciandosi dalla balconata a Belvedere di Malvento. Colpiscono in particolare gli esemplari più maestosi e plurisecolari nonché le silouette quasi spettrali di quelli che, sebbene morti, rimangono in piedi grazie al legno ricco di resine che li rendono più resistenti agli agenti naturali della decomposizione. Proprio per questa particolarità, unita al gradevole odore che esso emana e alla sua resistenza all'attacco dei tarli, il legno del Pino loricato veniva in passato utilizzato per la costruzione di bauli e casse da biancheria che accompagnavano gli emigranti calabresi e lucani nei loro viaggi di emigrazione. Inoltre, per la proprietà di bruciare lentamente e con fiamma luminosa, con il legno di questa conifera venivano in passato realizzate le "deghe" ovvero le fiaccole utilizzate durante le feste locali. La presenza di individui plurisecolari è spesso legata alle impervietà delle località in cui la specie vegeta che li ha preservati dal taglio di utilizzo; purtroppo ciò non è bastato, in tempi recenti, a preservarli dal danneggiamento e da tristi, vigliacchi e inutili atti vandalici.
AA.VV., 1992 – Calabria e Lucania riserva di verde nel Mediterraneo – Carical. Libri Schiwller, Milano.
AA.VV., 1992-94 – Pollino il mensile del Parco – Periodico, supplemento al periodico Tribuna sud, Castrovillari: collezione completa.
Allegri E., 1954 – Pino Loricato (Pinus Heldreichii Christ, var.leucodermis Ant.) sin.Pinus leucodermis Ant.. – Monti e Boschi, 5 (11-12): 531-534
Avolio S., 1996 – Il Pino loricato – Edizioni Prometeo, Castrovillari: pp 139.
Longhi G., 1956 – Alcune osservazioni fitogeografiche e biologiche sul pino loricato (Pinus Heldreichii Grist., var. Leucodermis Ant.) – L'Italia Forestale e Montana; Notiziario tecnico; Firenze XI(5): 227-228
Brogi Sante, 1960 – Il pino loricato (Pinus Heldreichii Grist., var.Leucodermis Ant.) in Calabria e sua possibilità di diffusione – L'Italia Forestale e Montana; Firenze XV(4): 157-163